Coniglio alla bresciana, dialetto e fantasia

Accanto a nonna Gina, alla riscoperta dei sapori di famiglia

Le domeniche d’autunno la cucina di nonna Gina era come il passaggio della Mille Miglia a Radicofani: motori che ribollivano e sforzi misurati a passo costante, metro dopo metro. Una tappa onorata da affrontare con metodo.

Profumi di famiglia, mestolo alle mani

Mentre la cugumina sobbolliva, al mattino presto, la nonna ripassava tra sé il da farsi. Seduta al suo tavolaccio scorreva col dito le ferite da coltello sul legno, neanche fosse l’agenda. Disponeva allora nella mente chiodi di garofano, noce moscata e qualche foglia di salvia. Mentre le finestre si macchiavano di condensa prendeva nota di quanto le serviva per il conecc a la bressana.

Presto la stanza avrebbe odorato dei fumi del ricco soffritto. E se le aveste domandato perché in pieno ottobre già s’ostinava a tenere le luci accese sui tegami, senza degnarvi d’uno sguardo avrebbe risposto: “A Santa Tirisina sé ‘m pissa la candilina!”. Caso chiuso. La cucina era sua. E il protagonista era ora solo un grosso coniglio dalle cosce ben carnose e piene.

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La prima cosa da fare è lavarlo accuratamente sotto un getto costante d’acqua fredda. Va quindi tagliato a pezzetti e asciugato con cura. Un coniglio allevato a terra e nutrito come si deve avrà carne rosa e il fegato d’un bel rosso brillante.

In un ampio tegame va messo a dorare lo spicchio d’aglio. Serve olio extravergine d’oliva (magari del Garda o d’Iseo) e tanto burro. Perché il burro? Serve. Se l’aveste chiesto a nonna Gina vi avrebbe detto che serve sempre. Punto e a capo. Poche domande, allora, e aggiungiamo salvia e rosmarino, che dovranno “rosolare” a dovere per accogliere i pezzi di carne (che, attenzione, devono soffriggere da entrambi i lati).

Ora è il momento delle spezie. Ancora? Certo: “Non tegnom a mà…”. Sale, pepe, noce moscata, chiodi di garofano, scorzette di limone e dado sbriciolato. “Ma come, il dado? Ma se è una ricetta di una volta… una volta non ci mettevano il dado! Non c’era il dado”. “Non c’era, e mangiavano il coniglio meno saporito! Ora dammi una mano: mettici il dado e le foglie d’alloro. Ma mi raccomando, poi devi toglierle. Vanno lasciate solo per un po’…”.

Le domeniche con nonna Gina non si scordano: il loro ricordo scalda il cuore come il vapore sui vetri. Come grembiuli infarinati e colpi picchiati sul tavolo insieme alla pasta restituiscono sensazioni e cadenze senza tempo.

Una volta che l’alfiere del pranzo s’è insaporito a dovere, spetta al vino bianco, da versare e lasciar evaporare con tutta calma. Solo allora potremo coprire il tegame e metterlo in forno. 2 ore nel forno già caldo a 180°. Ma attenzione: ogni forno è diverso (“Te ghet de conoser el tò”). Per questo è bene d’intanto dare un’occhiata (“L’è chésta la me televisiù”, nonna dixit) e magari bagnare l’arrosto con acqua calda e dado.

L’ultima mezzora è cruciale: lasciate il tegame scoperto e osservate che la carne sia ben rosolata prima di portare in tavola. E come contorno? Patate o polenta? A nonna Gina non c’era bisogno di chiederlo: naturalmente entrambe.

Penna e taccuino

Per 6 persone:

 

1 coniglio (nostrano) di circa 1 kg

80 gr di burro

2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

1 pizzico di noce moscata

2 chiodi di garofano

3 foglie di alloro

Qualche foglia di salvia

1 rametto di rosmarino

1 spicchio d’aglio

1 dado

Qualche scorzetta di buccia di limone

1 bicchiere di vino bianco secco

Sale

Pepe