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Pride: c’è chi specula sui diritti?

Facciamo i conti con i conti, nelle casse di pochi

È di recente andato in scena l’annuale evento a sostegno dei diritti dell’universo LGBTQIAPK+, e quando si parla d’inalienabili diritti, di rispetto, lotta all’omofobia e al pregiudizio, siamo tutti d’accordo che operare a favore di quanto sopra è cosa buona e giusta. Quello che ci chiediamo però è se la gestione del pride di Brescia non abbia per caso altri fini. Vantaggi commerciali e di visibilità per pochi che nulla avrebbero allora a che fare con lo spirito alla base del pride.

Già, il pride. Ma perché si fa? E perché ufficialmente dovrebbe cadere il 28 giugno?

Abbiamo provato a chiederlo ai tanti manifestanti, etero o meno, che si sono riversati lo scorso 2 settembre in centro storico. Alcuni hanno risposto a tono, altri subito deviando il mal dissimulato imbarazzo a temi di attualità politica. Vediamo allora di fare chiarezza:

Il Pride vuole commemorare i moti di Stonewall hill del 28 giugno 1969, quando l’omonimo locale nel Greenwich Village di Manhattan vide lo scontro tra gli occupanti, in larga parte gay, con le forze dell’ordine intente all’ennesima retata. Le incursioni della polizia seguivano un cliché abituale: lo scopo era dissuaderne i raduni e, per farlo, non badavano a minacce e percosse. Quella calda sera di giugno, tuttavia, le cose sarebbero andate diversamente.

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Va detto che il discrimine verso questi locali contava al tempo vari altri fattori. Complice il divieto di vendita d’alcoolici in ambienti frequentati da gay, trans e drag queen, aveva visto la longa mano della criminalità organizzata farsi spazio. In più questi ambienti, spesso purtroppo poco più di bettole in ragione del loro status di semiclandestinità, accoglievano gente e traffici di tutti i tipi. E persone di colore. Già, nell’America dai grandi valori (purché white style) non si disdegnava di cogliere l’occasione per menar le mani contro qualche afroamericano. Se in più gay, allora guai a lui!

Tornando allo Stonewall: l’opposizione alla polizia divenne scontro, lo scontro sommossa, con tanto di colpi di pistola da ambo le parti, incendi, e migliaia di persone che si riversarono nelle strade. Dal giorno seguente nomi come Craig Rodwell, Marsha P. Johnson o Mark Segal divennero noti al grande pubblico per il loro attivismo. La battaglia per i diritti LGBTQ era al via.

Brescia Pride: diritti o politica?

Veniamo a noi. Negli anni passati le manifestazioni in terra bresciana si sono colorate di manifestanti quanto di polemiche. Nel mentre però anche il pensiero di svariati attivisti è andato mutando. Il Pride, se davvero vuol essere una commemorazione e fonte di cambiamento a tema diritti – osservano sempre più numerosi – deve smarcarsi dagli eccessi. Come dire: “Se vogliamo esser presi sul serio serve serietà”. A comprova di questo, di recente, proprio in quell’America dove tutto ha avuto inizio si è cominciato a guardare con sospetto al business che il Pride porta con sé. Non è un mistero, del resto, che Wallmart o Kohl’s abbiano subìto pesanti critiche per il tentativo di monetizzare attraverso linee di prodotti marchiati Pride. Scossoni in borsa hanno infine colpito grandi brand accusati di “rainbow washing”, cioè di voler ripulire la loro immagine proprio appoggiando pubblicamente il Pride. E a Brescia?

Quest’anno il pride bresciano, andato in scena a settembre anziché a giugno “per evitare alle persone i pericoli del caldo” hanno fatto sapere gli organizzatori, è stato di altro tenore. Pochissimi gli eccessi, le nudità o le espressioni blasfeme. Persino la giovane donna a seno nudo sembrava fuori luogo, mentre il carro con lingerie appesa al massimo è sembrato di cattivo gusto. Tutto bene allora? Non proprio.

Ci siamo infatti chiesti: se davvero un nuovo stile di Pride, svuotato del semplice bisogno d’épater le bourgeois, vuole richiamare a sfide intellettuali e di rispetto del prossimo, perché sembra che qualcuno, con la marcia, ci marci?

Per acceder al beneficio l’Agenzia delle Entrate spiega come: il lavoratore deve dichiarare al proprio datore di lavoro di averne diritto, indicando il codice fiscale dell’unico figlio o dei figli fiscalmente a carico. Non essendo prevista una forma specifica per questa dichiarazione, la stessa può essere resa secondo modalità concordate tra le due parti. Naturalmente, al venir meno dei presupposti per l’agevolazione – per esempio nel caso in cui, nel corso dell’anno, un figlio non sia più fiscalmente a carico – il dipendente è tenuto a darne tempestiva comunicazione al datore di lavoro. Quest’ultimo recupererà quindi il beneficio non spettante nei periodi di paga successivi e, comunque, entro i termini per le operazioni di conguaglio”.

L’associazione “Brescia Pride”

Per curiosità abbiamo “sfogliato” il sito web dell’associazione organizzatrice dell’evento in città e, stupiti, ci siamo imbattuti in un manifesto che proclama:

Siamo una realtà LGBTQIAPK+, transfemminista queer, intersezionale, collettiva e orizzontale, laica, antifascista e antirazzista basata sui principi di autodeterminazione e non violenza, volta alla sostenibilità sociale e ambientale.

Il nostro manifesto politico contiene i valori in cui crediamo e le richieste che presentiamo alle nostre istituzioni e alla cittadinanza tutta.”

Antifascismo e sostenibilità ambientale? Sembra lo statuto di un partito. Certo, con il primo, ormai declinato in tutte le salse e il green non si sbaglia mai… Ma ci chiediamo se, forse, di quest’orientamento così netto a specifici obbiettivi non dovrebbero essere informati anche i partecipanti di quello stesso Pride di cui l’associazione vanta il nome. Non che debbano per forza dirsene dispiaciuti, per carità, ma almeno saperlo..

Altra cosa: tra i sostenitori del Pride figura al primo posto “Carminiamo”, l’associazione che rappresenta numerosissimi (se non tutti) i locali della movida del Carmine. 

A seguire ecco un altro localeUno ancora figura ben brandizzato su di un carro carnascialesco alla sfilata. Ma non è che…?

La sera dello scorso 2 settembre, gran festa al Carmine, col beneplacito dell’onnipresente sindaco arcobaleno. In dodici distinti punti il quartiere, che da tempo sta lottando per il suo diritto alla quiete, si è ritrovato invaso da non residenti che volevano festeggiare fino a notte, tra musica e alcool. Perché proprio lì? Perché non davanti alla Loggia, o in un parco. Perché non distribuiti fra le tante piazze o i locali del centro?

Migliaia e migliaia di persone che vogliono commemorare Stonewall e rivendicare diritti, o migliaia e migliaia di clienti scientemente portati a spendere in un nucleo di selezionate attività commerciali?

Si festeggia al “Carmine – si legge sulla pagina social dell’associazione Brescia Pride -, il più colorato dei quartieri della città”. Ma come? E in che senso? E poi: è con questo adagio che l’Amministrazione ha letto l’ipotesi della megafesta come positiva?

Una festa che spacca. Timpani e nervi.

I decibel registrati da alcuni residenti sfiorano gli attacchi di cuore e, nel mentre, si osservano mezzi di soccorso impossibilitati a transitare, con tanto di personale sanitario costretto a correre a piedi dal malcapitato di turno (certo, è un quartiere medievale fatto di stretti vicoli, cosa vi aspettavate?). La sicurezza? Parla da sola la Cinquecento di un privato usata come barriera contro l’accesso a via Carmine. Un cartello cita “In accordo con la Polizia locale”. Ma come? Come ha fatto la Loggia ad autorizzare una cosa del genere? E l’antiterrorismo? E le regole?

Non c’è niente da fare: anche il Pride arride al portafoglio di qualcuno. E solo di quello. Comune compreso, a quanto pare, visto che prende simili scorciatoie.